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Accademia Arte della Diversità: facciamo emergere la personalità, non le difficoltà

Accademia Arte della Diversità: facciamo emergere la personalità, non le difficoltà

Intervista ad Antonio Viganò, della cooperativa Accademia Arte della Diversità di Bolzano

Categorie: Le nostre storie, Culturale e creativo, Spettacolo Tags: Bolzano,   Accademia Arte della Diversità,   Antonio Viganò,   Pina Baush,   Julie Anne Stanzak,   disabilità,   inclusione sociale,   Otello Circus 2018

Quante volte sentiamo parlare di inclusione sociale oggi, senza renderci conto di quanto vana sia quest’operazione senza un progetto professionale lungimirante?

L’ Accademia Arte della Diversitàdi Bolzano si occupa proprio di risolvere il problema dei “recinti protetti” garantendo un percorso di crescita a persone diversamente abili nel campo dello spettacolo.

 

Nato dalla collaborazione tra l’Associazione Teatro della Ribalta e la l’Associazione Lebenshilfe, riconosciuto dal Ministero dei beni dell' attività culturali e del turismo, teatro bilingue, l’Accademia si definisce come teatro delle diversità e non dei diversi, rifacendosi ai movimenti degli anni ’80 che ponevano al centro della loro ricerca pratiche artistiche al di fuori della routine.

 

Antonio Viganò, Presidente della Cooperativa, ha visto nascere e svilupparsi questa realtà che ad oggi conta ben 10 impiegati svantaggiati su 12, prima compagnia professionale a livello nazionale italiano costituita da attori in situazione di disabilità.

 

Perché l’esigenza di diventare una cooperativa?

Semplicemente per la possibilità concreta che ci offre nella creazione di posti di lavoro nello spettacolo, regolarmente retribuiti per i nostri attori. La differenza rispetto ad altre realtà che si occupano di disabilità è che noi ci rivolgiamo a loro come a lavoratori normali. Se si impegnano e raggiungono risultati importanti li assumiamo, facendo loro un regolare contratto. E qui vi è il salto di qualità, perché gli svantaggiati passano dall’essere “un peso” all’essere cittadini stipendiati che possono mantenersi da soli.

 

Teatro delle diversità e non dei diversi. Ma cosa significa per voi esattamente diversità?

Il nome deriva dai movimenti teatrali che in passato hanno cercato di uscire dagli schemi prefissati dello spettacolo per ricercare originalità e nuove vie di espressione. Ecco, allo stesso modo noi vogliamo eliminare ogni etichettatura e categorizzazione. Il nostro non è un lavoro per i diversi, ma con i diversi, c’è una differenza sostanziale. E il teatro, a differenza di altre pratiche terapeutiche o didattiche, lavora non per renderci tutti uguali, ma per esaltare tutte le differenze.

 Attraverso l’indagine artistica, da un lato offriamo al pubblico un’esibizione interessante e alternativa, e dall’altro diamo voce a chi non ce l’ha. L’obiettivo è far dimenticare che chi è in scena è su una sedia a rotelle per esempio, e far emergere invece le sue capacità e la sua bravura.

Non c’è del buon teatro solo perché gli interpreti sono degli “esclusi”, con il “buonismo” non si fanno buoni spettacoli, ma è un buon teatro quando diventa autenticità artistica, poesia, emozione. A quel punto a noi spettatori non interessa più la  “condizione sociale” dell’attore, ma il racconto, la comunicazione di cui sono portatori

 

Ad oggi quindi quanto conta un’inclusione di questo tipo?

L’inclusione sociale non serve a nulla se non è studiata in un’ottica di futura professionalizzazione. Non ha senso proteggere i diversamente abili dal mondo esterno perché prima o poi quel mondo li travolgerà e li troverà impreparati. I soldi che vengono stanziati da soli non servono, occorre impegnarsi per una maggiore integrazione nel lavoro di ogni giorno, solo così potremo davvero garantire alle persone svantaggiate un futuro concreto.

 

A tal proposito all’ interno della vostra cooperativa avete creato laboratori professionalizzanti. Ci può spiegare a cosa mirano?

Per i nostri attori fare parte della compagnia Accademia Arte della Diversità significa innanzitutto lavorare, provvedere a se stessi e ottenere quindi quel riscatto sociale, altrimenti irraggiungibile. I nostri laboratori consentono loro di accrescere le proprie capacità artistiche mettendo a diposizione figure professionali di alto livello come Julie Anne Stanzak, danzatrice storica del Tanztheater di Pina Baush e attrice di fama internazionale. Attraverso l’impegno e lo studio del teatro potranno diventare attori a tutti gli effetti ed essere perciò impiegati nel mondo dello spettacolo. Certo, i corsi che proponiamo non sono aperti a tutti, bisogna essere bravi e avere voglia di misurarsi, due condizioni che anche le persone normali spesso non possiedono. Il nostro obiettivo è portare in scena talento e personalità, facendo dimenticare al pubblico l’impedimento fisico o mentale. In questo senso il teatro che facciamo è di comunicazione e socializzazione, un ponte artistico che genera interesse e che collega spettatore e attore. 

 

Parlando di futuro, ci sono progetti che vi stanno particolarmente a cuore e che vorreste vedere realizzati presto?

L’Otello Circus 2018, un progetto che vedrà lavorare allo stesso spettacolo musicisti, danzatori e attori portatori di handicap, realizzato in collaborazione con l’Orchestra Allegro Moderato. Sarebbe la prima opera lirica composta interamente da diversamente abili. Un’iniziativa che stiamo portando avanti con grande impegno che presto potrà essere messa in scena in Italia e all’estero. 

 

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