Ravenna Teatro- Teatro delle Albe nasce 30 anni fa dalla volontà di Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni. All’epoca a Ravenna era presente una stagione teatrale, ma nessuna compagnia che produceva. Le Albe, senza aver frequentato le Accademie e basandosi solo sull’esperienza personale, decidono di fondare la cooperativa, facendo così del proprio vivere e sperimentare ogni giorno, fonte di crescita e di sviluppo. Loro obiettivo è da allora quello di rendere il teatro un luogo vivo a tutti gli effetti. Dopo aver vinto il bando del Mibact, MigrArti, presenteranno a Roma "Vita agli arresti", spettacolo sulla vita di San SuuKyi, un lavoro originale sul premio Nobel che analizza la vita e l’impegno profuso dalla leader Birmana per il benessere del suo Paese. Lo spettacolo, che andrà in scena al Teatro Argentina dal 13 al 17 aprile, è valso al regista Marco Martinelli il Premio Enriquez 2015, come "miglior regista e miglior attrice di impegno sociale e civile".
Per conoscere meglio questa realtà abbiamo intervistato Alessandro Argnani, che fa parte della compagnia dagli anni ’90 e che ce ne ha raccontato storia e successi.
Qual è stato un momento significativo per la Compagnia in questi ultimi trent’anni?
Un passo importante è sicuramente stato fatto quando abbiamo ricevuto in dote dal Comune di Ravenna il Teatro Rasi; in questo modo abbiamo potuto sviluppare progetti e iniziative che ci hanno legato maggiormente alla Città, di cui vogliamo essere parte integrata e attiva. Uno dei nostri obiettivi più importanti infatti è quello di stringere una stretta relazione con tutta la cittadinanza.
Di recente avete vinto il bando MIBACT per MigrArti. Di che cosa si tratta e quale progetto avete presentato?
MigrArti intende legare le arti dal vivo mettendo al centro tematiche legate all’interculturalità in particolare rispetto ai ragazzi stranieri di seconda generazione. La nostra Compagnia da anni lavora a contatto con gli stranieri della nostra Città, cercando di intrecciare culture e tradizioni diverse. Per il bando abbiamo presentato un progetto per relazionare le realtà artistiche di quattro poli d’Italia: Milano, Lido Adriano, Lamezia Terme e Roma. Insieme vogliamo fare anima e guardare al 2018 quando vorremo presentare a Roma la terza tappa della “Eresia della Felicità”.
Parlando dei vostri laboratori di “non-scuola”, voi dite che il teatro non si può insegnare. Come vi approcciate quindi ai ragazzi?
La “non-scuola” è un progetto nato dagli anni ’90 da un’idea di Marco Martinelli, cercando di mettere in relazione il teatro alla vita dei ragazzi. Un luogo e uno spazio sempre vivo dove una rappresentazione di Molière può incontrare le contraddizioni delle quotidianità dei ragazzi. Insieme agli studenti realizziamo un’opera che viene portata in scena solo una volta, come una vera e propria iniziazione al teatro. Da questo percorso di crescita personale vogliamo comunicare loro l’autenticità del teatro come luogo di vita.
Perché avete scelto di essere proprio una cooperativa?
Il mondo della cooperazione è quello che si adatta meglio alla compagnia in quanto tutto è equamente distribuito. Non ci sono differenze tra i soci più anziani e più giovani e questo ci ha permesso da sempre di vivere del nostro lavoro. Siamo persone che si riconoscono l’uno nell’altro e che lavorano per un obiettivo comune, quello di far crescere la realtà nel miglior modo possibile.
Uno spettacolo a cui ti senti particolarmente legato?
È difficile perché ogni spettacolo in realtà è un passaggio fondamentale che ti lascia un segno. Forse per me una rappresentazione importante è stata “I Polacchi”, perché in quell’occasione ho avuto modo di conoscere tra gli altri Mandiaye N’Diaye, importante attore senegalese che è stato per anni la colonna africana della compagnia. Un figura fondamentale il cui ricordo è ancora molto vivo per la Compagnia. Grazie a lui abbiamo potuto intessere profondi legami con la tradizione africana e in particolare con DiolKadd, un villaggio vicino a Dakar cresciuto praticamente tramite il suo intervento.
Il vostro è un teatro multietnico. Com’è nata quest’esigenza di unire culture e tradizioni? Quali sono le iniziative più significative portate avanti in questo senso?
Siamo una compagnia teatrale afro-romagnola che si è sviluppata anche con il coinvolgimento di Mandiaye N’Diaye. Con lui abbiamo realizzato numerose iniziative soprattutto in stretta collaborazione con il suo Paese. Grazie a questo percorso ci siamo arricchiti molto e siamo cresciuti sia a livello di teatro sia come persone. In Senegal, Mandiaye ha avviato un progetto per lo sviluppo della comunità legato al turismo, alla terra e all’agricoltura che vorremmo portare avanti in modo da mantenere quel legame tra civiltà diverse eppure molto vicine.
Dopo il successo di MigrArti quale sarà il vostro prossimo obiettivo?
Con il progetto Erasmus Plus abbiamo coinvolto 20 ragazzi italiani e 20 ragazzi africani in un progetto per lo sviluppo della comunità di DiolKadd. Tuttavia, insieme a Coopermondo , vorremmo portare avanti il lavoro avviato da Mandiaye N’Diaye: con un percorso sinergico tra la nostra realtà e altre cooperative legate al mondo dell’agricoltura e del turismo, potremmo contribuire ad una crescita delle attività proprio a DiolKadd. Si tratta di un progetto a cui teniamo particolarmente e che vorremmo presto realizzare per mantenere sempre vivo l’operato di Mandiaye N’Diaye.